Conclusione: La genetica serve alla società?

La genetica sta portando e porterà straordinari benefici per l'umanità. La conoscenza è ricchezza ma, in ogni campo del sapere, uno scorretto uso delle informazioni può essere nocivo. Non si tratta solo dell'utilizzo improprio di ipotetiche divergenze genetiche che potrebbero fare fanatici autonomisti, ma anche di questioni legate alla nostra vita di tutti i giorni. Pensiamo per esempio all'importanza di conoscere se siamo portatori di geni che ci predispongono fortemente a sviluppare il tumore al seno e a cosa accadrebbe se la nostra assicurazione venisse a conoscenza del fatto che li possediamo. Ci assicurerebbe ancora? E se lo venisse a sapere il nostro datore di lavoro? D'altro canto sarebbe un crimine impedire ai singoli una corretta prevenzione e una diagnosi precoce per evitare gli usi impropri delle informazioni. Per questo, man mano che le conoscenze evolvono, l'apparato legislativo, perlomeno dei paesi più avanzati, cerca di adeguarsi al possibile uso scorretto delle informazioni da parte della società o di singoli attori.

In questo caso, lo scopo principale dello studio citato era capire quali erano, se esistevano, le origini genetiche delle grandi disparità di salute che caratterizzano i vari gruppi sociali indiani. La ricerca ha mostrato che, in questo caso, la struttura sociale e quella genetica erano collegate. David Reich, genetista dell'Università di Harvard e uno degli autori dell'analisi, è però anche interessato agli aspetti sociali di tale tipo di indagini, per esempio all'impatto sullo studio della storia: "Le ricerche genetiche ci permettono di avere un'idea più chiara delle relazioni tra le popolazioni umane. Rendono più difficile presentare ipotesi che non sono supportate dai fatti ma che sono invece inventate per incontrare i programmi politici o sociali di certe persone".

Sia lui che il suo collega Lalji Singh, del Centro per la biologia molecolare e cellulare di Hyderabad, sono convinti che più che separare la popolazione indiana, i risultati dello studio la uniscono. Infatti, se è vero che i 25 gruppi sociali indiani studiati risultano geneticamente divisi da circa 4mila anni, se risaliamo di 60-70mila anni, troviamo, seppure in diverse percentuali, gli stessi antenati: una popolazione ancestrale del Nord dell'India e una del Sud, fatta eccezione per gli abitanti delle isole Andamane, che discendono solo da quella del Sud (e che sarebbero la popolazione più antica dopo quelle africane). Fatto che, secondo Aravinda Chakravarti della Johns Hopkins school of medicine di Baltimora (Maryland), rende ancor più ridicolo il mito degli Ariani: come tutti gli altri sono solo un puzzle dei geni ancestrali diversamente mischiati. Fino ad oggi, sottolinea Lalji Singh , il divario tra le popolazioni ariane e dravidiche è invece stato utilizzato opportunisticamente dai politici.

Chakravarti non è neppure particolarmente stupito del fatto che il sistema delle caste fosse talmente rigido da provocare una separazione a livello genetico "Sapevamo da molto tempo che il sistema delle caste esisteva in India da millenni, i poteri coloniali, fatta eccezione per i Moghul, lo hanno solo sfruttato a loro vantaggio. Il sistema sta cambiando solo perché non è di gran vantaggio all'India moderna, anche se persiste nelle aree rurali, in forme talvolta violente".

Detto questo però, i ricercatori affrontano anche il problema dell'uso improprio che si potrebbe fare della "recente" divergenza genetica. "Sono fortemente contrario all'uso discriminatorio delle informazioni genetiche, o anche solo al loro utilizzo in campo politico o sociale – afferma Reich -. Tuttavia sono convinto che questi sudi siano molto importanti anche per comprendere e chiarire i fatti storici".

"Certo – commenta Chakravarti – c'è il rischio che le informazioni provenienti dalla genetica siano utilizzate da politici per legittimare, per esempio, le richieste di differenziazione in vista di una maggiore autonomia di certi gruppi sociali. Mettendo da parte le domande accademiche, uno non può prevedere su che basi, più o meno solide, la gente definirà l'identità indiana. Ma io spero che questo non accadrà: gli indiani sono un popolo con una vasta apertura mentale sulle questioni identitarie: basti pensare che la persona più potente del paese è donna e cattolica (e pure di origine italiane!), che il primo ministro proviene dalla minoranza Sikh e che ci sono molti musulmani e membri delle varie caste a ogni livello della politica, dell'istruzione e delle arti. Capire la nostra storia più remota è un importante esercizio culturale e scientifico, ma sarebbe un grave errore definire quel che siamo oggi sulla base di questo. L'identità dell'India oggi è politica. L'India è stato probabilmente il primo paese a definire i suoi cittadini sulla base di criteri politici, e non religiosi, culturali o etnici". A questo proposito è utile riprendere la frase di Jawaharlal Nehru, il primo Primo ministro indiano, riportata da Chakravarti nel suo saggio di accompagnamento allo studio apparso su "Nature": "L'India è quattrocento milioni di diversi individui, uomini e donne, ognuno differente dall'altro… un crogiuolo di contraddizioni tenute assieme da forti ma invisibili fili".

P.S. La provocazione di Antonio ci sembra molto adatta a questa rubrica, e ci ripromettiamo di occuparcene.