Ridurre le disuguaglianze, perlomeno quelle economiche, ci fa stare meglio. Quando questo accade, infatti, il cervello ci fa provare sensazioni piacevoli, di appagamento. E' quanto suggerisce uno studio che sarà pubblicato domani su Nature e che a molti potrà sembrare sorprendente.
Elizabeth Tricomi, John O'Doherty (del Caltech di Pasadena) e altri colleghi, hanno voluto valutare un'ipotesi che va per la maggiore tra gli scienziati sociali, ovvero che gli uomini preferiscono ridurre le diseguaglianze perché questo li fa sentire meglio, o meno peggio. O forse perché l'esperienza insegna che nel lungo periodo questo porterà benefici a tutti. Ipotesi sostenute da alcuni studi comportamentali e antropologici, ma mai verificata "in vivo", nel cervello mentre è in funzione.
Piazzati 40 volontari sotto il monitoraggio di una risonanza magnetica funzionale, i ricercatori hanno deciso di scattare un'inedita "fotografia della natura umana". Hanno creato una situazione di partenza impari, dando ad alcuni 50 dollari e ad altri nulla. Poi hanno distribuito premi in denaro in modo casuale, osservando cosa accadeva nel centro del piacere e delle gratificazione dei partecipanti. Ebbene, questo centro cerebrale che dispensa sensazioni piacevoli e di appagamento si attivava maggiormente se i soldi andavano a un povero piuttosto che a un ricco. Non solo: un ricco provava più piacere a vedere remunerare un nullatenente che a vedere accrescere il suo patrimonio. Mentre un povero provava molto piacere se riceveva denaro, e quasi nulla se questo andava a un altro (fatto di per sé non sorprendente).
"Questo sembra in contrasto con quella che è l'dea prevalente della natura umana – ha commentato O'Doherty -: come psicologo e scienziato comportamentale che lavora sulla gratificazione e sulla motivazione, consideravo il cervello come uno strumento programmato per massimizzare il guadagno personale. Ma questo studio mostra che anche le più semplici strutture cerebrali, come quelle del piacere e della gratificazione, non sono puramente self-oriented".
"Sulla base d questo studio – ha chiarito il ricercatore – non possiamo affermare che l'avversione all'ineguaglianza sia innata, ma il fatto che la vediamo legata a una struttura fondamentale e primitiva del cervello, come il centro del piacere e della gratificazione, ci fa pensare che sia una caratteristica fondamentale della natura umana, e non sia semplicemente dovuta all'applicazione di una regola sociale o di una convenzione. Inoltre altri ricercatori (per esempio Franz De Waal e colleghi) hanno mostrato che questa avversione è innata persino nei cebi cappuccini (una specie di scimmie, ndr)
Colin Camerer, economista del Caltech che ha partecipato allo studio, ha commentato: "noi economisti tendiamo a pensare alle persone sostanzialmente come a degli esseri egoisti, ma se così fosse non vedremmo queste reazioni di piacere nel cervello quando gli altri ricevono denaro".
Chissà cosa succederebbe se sottoponessimo a questo esperimento persone di culture molto differenti, per esempio cacciatori raccoglitori come i Kung!, praticamente estranei al concetto di proprietà e economisti votati alla massimizzazione del profitto. "Probabilmente ci sarebbero differenze individuali nel modo in cui le persone reagiscono, e sarebbe interessante vedere se queste sono collegabili all'appartenere a una cultura piuttosto che a un'altra" risponde O'Doherty.
E voi cosa ne pensate? Siamo biologicamente predisposti a ridurre l'ineguaglianza? O scegliamo o non scegliamo di farlo per via della nostra cultura? E quanto questi due fattori influiscono nell'attuale stato del mondo?
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