Chi è il misterioso nuovo ominide?

Chi è il misterioso ominide di cui tutto il mondo parla (spesso a sproposito) da alcuni giorni? Lo ha finalmente rivelato la rivista "Science", che ha gelosamente mantenuto l'embargo nonostante la fuga di notizie avvenuta domenica sera. Lo hanno battezzato Australopithecus sediba, non è uno ma sono due scheletri, vecchi 1,95-1,78 milioni di anni: testimonianza fossile di una specie finora sconosciuta.

Berger e sediba Sono in ottimo stato, considerata l'età: si tratta di ossa di un giovane di 11-13 anni e di una donna di 20-30, dissotterrate in Sudafrica, 40 chilometri a Nord Ovest di Johannesburg, in un'area ricca di grotte calcaree chiamata Cradle of Humankind (culla dell’umanità) e riconosciuta dall'Unesco perché lì erano già stati trovati i resti di alcuni ominidi: il più antico fossile di Australopithecus africanus, (Mrs. Ples, per gli amici), il bambino di Taung, della stessa specie, e un altro australopiteco celebre: «Little Foot», vecchio 3,3 milioni di anni, di specie ancora incerta. L'Australopithecus sediba, così è stata battezzata la nuova specie, aveva già caratteri simili a quelli del genere Homo, in particolare all'Homo habilis. Aveva un'andatura eretta più efficiente, in termini energetici, rispetto ai suoi predecessori, per esempio Lucy (Australopithecus afarensis), che comparve circa un milione di anni prima.  
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"Non è possibile stabilire la precisa posizione filogenetica della nuova specie – scrive il suo scopritore Lee Berger, paleoantropologo dell’Università di Witwatersrand – possiamo però affermare che condivide con i primi rappresentanti del genere Homo più caratteri rispetto agli altri australopitechi trovati fino ad ora. Questo lo rende un buon candidato per il ruolo di un nostro antenato, ma potrebbe anche trattarsi di un suo parente stretto", un altro ramo che poi si è estinto senza lasciare specie 'figlie' e che per un certo periodo ha convissuto con i primi Homo.  In altre parole, la nuova specie poterebbe avere segnato il passaggio tra gli australopitechi e il genere Homo, sarebbe una "sorgente" dell'umanità: sediba, infatti, significa fonte, in lingua sotho (parlata nella zona del ritrovamento).

Sediba degli australopitechi ha il cranio minuto, il corpo relativamente piccolo rispetto a braccia lunghe e possenti. Ma con gli Homo condivide alcuni tratti del cranio e del bacino. Guai a chi definisce il nuovo ominide «l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia». 11__Evolutionary_Tree_by_Peter_Schmid,_co-author_from_the_Un_  

«È sbagliato parlare di anello mancante, è un concetto molto fuorviante – spiega Giorgio Manzi, professore di paleontologia ed evoluzione umana all’università La Sapienza di Roma -. Di "anelli mancanti" ritrovati ce ne sarebbero fin troppi, visto che conosciamo almeno 20 specie di forme estinte che appartengono alla nostra linea evolutiva». Questa definizione riprende un concetto quanto mai superato, che pensava all’evoluzione come a un processo lineare, a "catena". «Quella dell’anello mancante è un’espressione di origine ottocentesca. Allora non si conoscevano anelli di congiunzione tra l’uomo e le scimmie antropomorfe. A quel tempo si pensava che questo "anello" ci avrebbe definitivamente ricongiunto alle scimmie, e che andasse cercato nel passato. Poi, di questi "anelli" ne sono stati trovati almeno una ventina e si è capito che la storia evolutiva dell’uomo non è lineare, è sbagliato parlare di anelli o catene: tra noi e le scimmie antropomorfe c’è una storia complessa e ramificata, non ci sono anelli ma raccordi e diramazioni che si sono susseguite in un arco temporale di sei milioni di anni. Un albero, quello dell’umanità, che andiamo via via ricostruendo: conosciamo molte ramificazioni e certo c’è da attendersi di trovare molte altre ramificazioni e raccordi, uno di questi potrebbe proprio essere quello descritto dalla scoperta sudafricana».

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  Via via che il tempo passava una o più specie di ominidi diventavano gradualmente più grandi, probabilmente meno adatte ad arrampicarsi sugli alberi, e decisamente più bipedi. L'Australopithecus Sediba si collocherebbe tra gli ominidi più antichi, chiamati australopitechi, che oggi sono estinti e quelli più moderni, appartenenti al genere Homo, che hanno portato all' Homo sapiens, cioè a noi.

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I due scheletri di Australopithecus Sediba sono stati trovati in una grotta situata 50 metri sottoterra. Con loro sono stati dissotterrati resti di 25 animali differenti: iene, gatti selvatici, licaoni, antilopi, persino un cavallo. I ricercatori suppongono che tutti siano precipitati, magari cercando acqua. I due corpi risultano solo parzialmente decomposti: l'ipotesi è che siano caduti insieme o a pochi giorni di distanza e che poi il sopraggiungere di un acquazzone abbia creato un torrente d'acqua che li abbia spostati e ricoperti di fango e sedimenti, preservandoli.

In due settimane l'umanità ha così scoperto di avere due antichi parenti in più: il 25 marzo la rivista scientifica «Nature» aveva infatti annunciato di avere individuato un altro antenato, questa volta appartenente addirittura al genere Homo. Con l'occasione vi rinnoviamo la domanda che vi facemmo allora: Quanti figli segreti ha la famiglia umana? (cliccate sulla domanda per leggere la notizia). E ancora, per i più esperti: con le analisi del genoma sarà più semplice scoprire nuovi passaggi dell'evoluzione umana, capire come dagli antichi progenitori si è arrivati a noi, e tutto questo anche a partire da minuscoli frammenti di ossa; ma ciò significa anche che sarà più facile scoprire nuove specie umane? O forse con lo studio del Dna antico dovremmo ridefinire il già sdrucciolevole concetto di specie?

Scrivete le vostre opinioni cliccando sulla voce "commenti"

  • Osacar Amalfitano |

    Non sia mai!
    Chiamiamola australopiteca!
    Come dicevano a quel tempo:
    “Australopiteche e buoi dei paesi tuoi”

  • Fulvio |

    Chiamare “donna” un individuo di sesso femminile di una specie di nuova introduzione, cioè Australopithecus sediba, neanche appartenente al genere Homo, mi sembra una forzatura.

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