Cosa prova una bambina stuprata?

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«Hai guardato il male negli occhi e adesso più nessuno può guardare te. È la leggenda di Medusa. Dopo lo stupro nessuno può più guardarla negli occhi. Chi la vede si trasforma in pietra». Triste tigre, memoir della scrittrice francese Neige Sinno che ha vinto il premio Strega europeo, oltre al prix Femina e altri, è un libro perturbante come pochi. Anche chi lo legge, si sente trasmutare in sasso. Racconta di quando, dai 7 ai 14 anni circa, è stata violentata dal suo patrigno, con cui viveva in un piccolo villaggio delle Alpi assieme alla madre, a una sorella minore di due anni, e a una sorellina e a un fratellino unilaterali. Lo fa con una lingua non rifinita, senza badare alle ripetizioni o ad abbellimenti. «Fare arte con la mia storia mi fa schifo», dirà, rifiutando anche di mettere una distanza tra lei e quell’«estrema violenza senza violenza che sono gli abusi».

«Il tabù nella nostra cultura, non è lo stupro in sé, che è praticato ovunque, ma parlarne, prenderlo in considerazione, analizzarlo» afferma l’autrice, che afferra il mostro per le corna e apre il romanzo facendo vedere al lettore quello che le accadeva. L’assenza di voyeurismo di questa scelta è immediatamente chiara a chi legge, che vi si trova davanti nudo, non schermato. «Finché gli atti non vengono descritti con precisione, si rimane in una sorta di vaghezza che permette al lettore di crogiolarsi nella negazione (al lettore, all’autore, al predatore, a tutti). Finché non si vede il pene dell’uomo di quarant’anni nella bocca davvero piccola della bambina, i suoi occhi umidi di lacrime per l’immediata sensazione di strozzamento, finché non si vede, è ancora possibile dire che si tratta di amore, di una storia d’amore folle».

Sinno non si riferisce solo al patrigno che pretendeva di amarla – «diceva che era per poter esprimere quell’amore che mi faceva quello che mi faceva, diceva che il suo desiderio più grande era che io ricambiassi il suo amore. Diceva che se aveva cominciato ad avvicinarsi a me in quel modo, a toccarmi, ad accarezzarmi, è perché aveva bisogno di un contatto più stretto con me, perché io mi rifiutavo di essere dolce con lui (…). Dopodiché mi puniva con atti sessuali per l’indifferenza che gli dimostravo». Sta polemizzando anche con quegli intellettuali e artisti francesi che negli anni precedenti al suo tormento firmavano lettere aperte in cui omosessualità e pedofilia erano associate, «chiedendo che entrambe venissero depenalizzate ritenendole giuridicamente riconducibili a una sessualità senza costrizioni, a patto che i soggetti coinvolti fossero consenzienti».

Ciò che pensavano davvero le vittime dei pedofili emerge solo ora, 40 anni dopo, quando le bambine di allora hanno trovato la voce per raccontare e qualcuno disposto ad ascoltare – per esempio Vanessa Springora autrice di Il Consenso o Camille Kouchner, che ha scritto La famiglia grande (entrambi 2021, La nave di Teseo) o ancora le attrici Adèle Haenel, Judith Godrèche, Anna Mouglalis, Vahina Giocante, Isild Le Besco – sull’onda di un #metoo francese (#moiaussi) tardivo ma inarrestabile. «Nel bambino tutto è spalancato. Un bambino non può aprire o chiudere la porta del consenso. Non arriva alla maniglia. (…) Ci sono anche delle vittime adulte che non arrivano alla maniglia, perché sono a terra, camminano carponi da troppo tempo o sono soggiogate (…), ma questo è un altro argomento di dibattito» afferma Sinno. «Il fatto è che è molto difficile stabilire (…) cosa si intende per consenso. Ci si riferisce a quello che il bambino ha fatto, è sembrato che facesse, ha provato o ha dato l’impressione di provare, a quello che ha detto o che non è riuscito a dire? Per questo motivo, leggi che stabiliscano chiaramente che non può esistere consenso in un bambino renderanno le cose più facili per tutti, inclusi gli stupratori, i quali non di rado vengono a patti con loro stessi immaginandosi che alla fin fine la porta era stata volutamente lasciata aperta».

Nella prima parte del memoir Sinno descrive il patrigno pedofilo – «La predazione sessuale non è legata tanto al piacere fisico quanto alla relazione di dominio, cioè di potere (…). Lui esercitava su di me un’onnipotenza che per tutta la durata dello stupro gli dava la sensazione di essere un superuomo. Poteva decidere della mia vita e della mia morte». Descrive come questo non si accontentasse di stuprarla, ma pretendesse e facesse in modo che la bambina provasse piacere, facendola così sentire complice, esercitando su di lei una violenza ancora più spietata, che ambisce al controllo totale su di lei. Sinno parte dal mostro perché, secondo lei, interessa di più al lettore: è facile empatizzare con la vittima. Ma forse proprio per questo ci si ferma lì, senza capire veramente cosa ciò significhi, neppure a livello emotivo e intuitivo. E così risulta ancora più interessante la seconda, terribile, parte, quando analizza gli effetti dell’essere violentati nell’infanzia, un argomento poco esplorato. «Tirati su e vai avanti non è applicabile nei casi di violenze sui bambini» afferma. Perché il bambino stuprato non sa chi è, non ha mai avuto modo di scoprirlo: «Non ci si può rialzare e sbarazzarsi di qualcosa da cui si è così profondamente costituiti (…). Per chi non ha conosciuto altro che quell’esperienza, tutto si struttura a partire dall’oppressione. Non esiste un sé non dominato, un equilibrio a cui si potrebbe tornare una volta terminata la violenza». Anche quando se ne viene fuori – non ci si uccide ma si costruisce una vita, come l’autrice, che è riuscita a studiare, a lavorare, a trovare un compagno e a essere madre di una bambina – non se ne viene fuori davvero. Sinno in ogni momento si sente ricondotta a quei momenti costitutivi della sua infanzia. Non c’è quasi mai smemoratezza, un’infinità di cose, continuamente, le parlano di stupro (se questo sia a causa di un effetto deformante o di un’estrema lucidità è però un punto da discutere). «Lui non mi ha obbligata a essere coraggiosa. È stata la risposta che ho scelto di dare all’abuso. Ma alla fine, (…) la mia più grande qualità (…) proviene da quello che ho vissuto, da quello che mi ha fatto lui. Tutto il mio carattere è opera sua».

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Neige Sinno

Triste Tigre

Traduzione di Luciana Cisbani

Neri Pozza pagg. 240, € 18