Chetna Maroo: lo squash per addomesticare le figlie?

Quando la madre muore, la zia paterna di tre sorelle che definisce «selvagge», propone al padre di crescerne una a casa propria. Hanno bisogno di esercizio e disciplina, afferma («Ha paura di noi perché non sa cosa pensiamo», sostiene invece una di loro). Anziché rispondere, il padre comincia ad allenarle a giocare a squash.

Gopi, Khush e Mona hanno 11, 13 e 15 anni, sono inglesi ma parlano, e studiano, anche il gujarati, la lingua materna. Indiano di origine è pure il padre, cresciuto però a Mombasa. La più piccola è la voce narrante di T, romanzo d’esordio dell’autrice angloindiana, nata in Kenya, Chetna Maroo. «T»: come il segno al centro dei campi di squash, da cui si parte e a cui si deve sempre ritornare. Sorta di baricentro della partita – e della vita, in bilico davanti alla sofferenza per la morte della madre e per la disperazione del padre.

In famiglia si parla poco e non fa spreco di parole neppure la narratrice. Contano i gesti, e i moti del pensiero, individuati con esattezza, così come nitido e purissimo è il dolore che emerge da tanta austera sintesi. «Un bel tiro può fermare il tempo. A volte è l’unica cosa che può farti sentire in pace», osserva Gobi. Il suo modello è il pakistanese Jahangir Khan, che ha sbaragliato tutti i campioni bianchi divenendo il miglior giocatore al mondo nella storia dello squash.

Presto le sorelle più grandi abbandonano il gioco, mentre le ravvicinate quattro mura del campo diventano il fulcro della sperimentazione – o della crescita – della più piccola. Il suo perimetro di vita. Luogo di incontro con il padre, l’unico posto dove può confrontarsi e competere ad armi pari coi maschi, che la sua cultura le impone di allontanare. «Nessuno avrebbe saputo che io e un ragazzo bianco facevamo sport insieme. Nessuno avrebbe saputo che ci muovevamo l’uno intorno all’altra, sudando, passando le mani sullo stesso pezzo di muro macchiato». Però, a un certo punto la comunità lo viene a sapere, e aumenta la pressione esercitata sul genitore e attuata anche dalle figlie grandi, smarrite di fronte al fatto che il padre ha conosciuto una donna bianca e le parla dicendo quel che pensa, chiedendo sempre il suo parere, diversamente da come faceva con la madre. T, tuttavia, non pare una storia di ribellione, più di consapevole accettazione. Le interazioni tra i personaggi, che sono di fede giainista, una religione – forse più una filosofia – improntata all’assoluto rispetto di ogni forma vivente, restano sempre misurate, deflagrando solo in una potentissima pallonata che Gobi, tanto inconscia quanto furiosa, assesta sulla mascella di suo papà. E mentre sale la tensione per il torneo cui la ragazza e il suo compagno di gioco hanno deciso di partecipare, sale anche quella verso chi sperimenta modi di vivere estranei alle culture d’origine. L’offerta fatta dalla zia al padre non ha ancora ricevuto risposta…

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Chetna Maroo

T

Traduzione di Gioia Guerzoni

Adelphi, pagg. 160, € 18