Anche quando la malattia non è immaginaria, l'immaginazione gioca un ruolo importante nel processo di guarigione. Non basta offrire la giusta terapia: per stare meglio il malato ha bisogno du speranza, aspettativa, e di un (trascurato) buon rapporto tra il medico e il malato. Una relazione fatta di stima, conforto e comprensione i cui effetti sono così benefici che spesso il paziente rischia di preferirli a una reale cura. Fin dalla prima impressione, la mente del paziente inizia a modificarsi. Oltre al senso di fiducia, contano i gesti del terapeuta, il tono e l’assertività delle sue parole, l’incoraggiamento verbale, la promessa di un miglioramento.
Studi scientifici hanno mostrato che curando l'interazione col paziente e lo stato d'animo del malato si può accelerare la guarigione o far sopportare meglio il dolore in svariate malattie, dal parkinson fino alle ustioni, dalle patologie coronariche alla depressione. In altre parole, il puro rituale del ricevere una terapia, indipendentemente da questa, può avere un effetto potente che va ad aggiungersi e a potenziare quello del trattamento. Ma può anche confondere le idee al malato. Esemplificativo uno studio sul costo delle medicine: più alto era, a parità di sostanza, più elevato era il beneficio percepito. O il caso della psicoterapia, dove la buona intesa tra medico e paziente sembra essere la terapia stessa, visto che il beneficio misurato è il medesimo indipendentemente dai 400 tipi diversi di trattamento disponibili.
«Non solo i medici devono preoccuparsi di acquisire buone capacità tecniche, ma devono anche rafforzare le loro abilità sociali», afferma il fisiologo Fabrizio Benedetti nel suo recente saggio The patient’s brain. The neuroscience behind the doctor patient relationship (Oxford University Press, pagg.328, £34,95) in cui esplora la relazione medico-paziente da un punto di vista neurobiologico. Benedetti dirige un laboratorio presso l’Istituto nazionale di neuroscienze di Torino che il «The New England Journal of Medicine» ha definito il più importante al mondo per gli studi dell’effetto placebo. Nel suo saggio descrive cosa determina la percezione di un sintomo e cosa la influenza (per esempio fattori psicologici come ansia, depressione rabbia esacerbano la sofferenza) ma anche cosa significa cercare sollievo dal dolore, avere fiducia, sperare, e aspettarsi che la malattia migliorerà o peggiorerà (effetto placebo e nocebo). Mostra, con le neuroscienze, l’importanza di curare il paziente, e non solo la malattia. Il quadro che emerge è di ricerche ancora troppo settoriali per dare una spiegazione complessiva e sintetica del fenomeno. Ma se ne possono già ricavare una serie di consigli. Ovvi, forse, ma dall’efficacia scientificamente provata. Se da un lato il paziente deve mettersi nelle condizioni di fidarsi e sperare, dall’altro lato il medico deve mostrarsi empatico e compassionevole, rassicurante e amichevole. Fondamentale la fiducia e creare aspettativa: esperimenti condotti su malati che non sapevano di essere curati hanno mostrato una riduzione dell’efficacia del trattamento. Mai negare la speranza: se non guarirà il malato ne ridurrà la sofferenza. E voi che cosa ne pensate? Scrivete la vostra opinione nello spazio riservato ai commenti
|
![]() |