«La vita organica, nata sotto le onde senza riva,/ fu svezzata in oceaniche grotte di perla;/ in principio minuscole forme, non viste da lenti,/ si muovono sul fango o perforano la massa acquea;/ di generazione in generazione fiorendo,/ assumono poi nuovi poteri e arti più grandi;/ da esse sorgono innumerevoli gruppi di vegetali,/ e regni dotati di respiro e di pinne, di piedi e di ali» intuiva, nel suo Il tempio della Natura (1803) il fantasioso nonno di Charles Darwin, Erasmus. C'è una ricetta marina, infatti, nel Dna di animali e vegetali: «Anche se l'evoluzione tirò la pianta fuori dal mare, non riuscì a tirare fuori il mare dalla pianta» riassume l'ecologo Jonathan Silvertown, autore della Vita segreta dei semi (Bollati Boringhieri, Torino pagg. 244, € 19,00).
Un buon esempio è la riproduzione: usa vecchi strumenti evolutesi per la vita "liquida" e riadattatesi all'uopo. Sulla terra, come fanno gli spermatozoi vegetali a spostarsi, e le uova a non essiccare? Le cellule uovo fecondate sono trattenute nel tessuto materno, e poi la selezione naturale ha fatto scintille. Le più prosaiche felci hanno spore aeree, ma stanno in zone umide, cosicché i loro spermatozoi navigano in una sottile pellicola di umidità. In specie più fantasiose l'oceano è ricreato nel talamo. Come nel primordiale Ginkgo biloba: l'arrivo del polline "risveglia" l'ovulo che matura e produce dentro di sé «una gocciolina di mare». Pronto all'azione, il polline rilascia due massicce cellule spermatiche con centinaia di pelucchi mobili, disposti a spirale, che le sospingono come una torpedine. Si parla di Amori delle piante (per citare un altro testo di Erasmus Darwin) in questo libro appassionante. Perché, come cantava Cole Porter, «persino i fagioli lo fanno». Non solo: le piante lo fanno nei modi più strani. E con l'abilità di Silvertown possono mostrarci, in modo inedito e illuminante, l'evoluzione in azione.
Inoltrandoci nella complessa sessualità dei vegetali, scopriamo le conifere ermafrodite e in particolare un cipresso egoista che rispecchia le idee dell'Apollo delle Eumenidi di Eschilo quando, difendendo Oreste accusato di matricidio, afferma che «non è la madre genitrice di quello che è chiamato figlio: ella è la nutrice del germe in lei seminato». È vero per il cipresso del Sahara (Cupressus dupreziana): i geni del figlio non sono quelli dei due genitori, ma solo quelli paterni, primo caso di maternità surrogata nel regno botanico e unico caso noto di androgenesi, ovvero nascita da un maschio . Non una strategia geniale, per questa pianta maschiaccio, di cui infatti restano solo 230 esemplari (certo è che, dopo questa lettura, guarderete l'albero di Natale con occhi nuovi).
C'è maggior varietà sessuale nelle modalità in cui le piante producono i semi di quanta se ne possa trovare nelle posizioni del Kamasutra, spiega Silvertown. Ma perché?
La ragione d'essere del sesso è lo scambio dei geni tra gli individui. La grande svolta evolutiva che comportò lo scambio di Dna tra due individui avvenne prestissimo nella storia della vita, ancora prima della diversificazione tra i ruoli di maschio e femmina. Ma perché il sesso si è rivelato un mezzo di riproduzione così efficace? Per quale motivo resiste dall'alba della vita? Diversamente da quanto si è portati a pensare, la risposta a questa domanda non è così ovvia.
Il sesso, almeno agli occhi dell'osservatore spassionato (è il caso di dirlo), appare un mezzo tutt'altro che funzionale per trasmettere i geni alle generazioni future. Che senso ha condividere la mia prole con un partner, diluire per metà il mio lascito genetico, quando l'alternativa – la riproduzione asessuata, mi garantirebbe tanti perfetti "Mini Me", si domanda Silvertown. La riproduzione sessuata è stata paragonata a una roulette in cui i giocatori ad ogni giro buttano via metà delle loro fiches.
Oltre alle piante, pressoché tutti gli animali si riproducono sessualmente. Ma le piante sono particolarmente interessanti perché ,a differenza della maggior parte degli animali, possiedono quasi tutte entrambi i mezzi riproduttivi: asessuati e sessuati. Se le piante di fragola sono tanto brave a diffondersi tramite gli stoloni, perché si prendono la briga di produrre anche semi e frutti?
Sono state avanzate decine di teorie per spiegare come il sesso riesca a superare il proprio handicap apparente nella roulette della vita, ma la maggior parte di queste non ha un carattere sufficientemente generale da rendere ragione dell'universalità del sesso. Sebbene non vi sia ancora un consenso unanime, le osservazioni sperimentali sembrano converegere verso due teorie in particolare.
Una è il corrispettivo della prima teoria sull'argomento, esposta da Thomas Hunt Morgan (Nobel per la medicina nel 1933) nel 1913. Allora la parola gene non era di uso corrente, ma Silvertown la spiega con parole moderne: Morgan ipotizzò che il vantaggio della riproduzione sessuata rispetto a quella asessuata dipendesse dal fatto che gli individui nati attraverso il sesso possono ereditare e accumulare benefici da un ampio bacino di progenitori, mentre gli individui frutto di riproduzione asessuata dispongono soltanto del patrimonio genetico ereditato dalla madre. Copie di mutazioni genetiche benefiche vengono moltiplicate tramite la selezione naturale e, nel corso delle generazioni, si accumulano. Attraverso la riproduzione sessuata possono combinarsi con altre mutazioni benefiche e concentrarsi sempre più nei discendenti. Una prole prodotta per via sessuata ha due genitori, quattro nonni, otto bisnonni e così via: questa rete sempre più ampia di antenati è una sorta di imbuto incredibilmente profondo che favorisce la trasmissione alla generazione più recente dei miglioramenti genetici che via via sono sorti. Una cornucopia di geni benefici che è resa possibile dal sesso. Gli individui originati per via asessuata non possono infatti beneficiare del patrimonio di mutazioni benefiche accumulato, perché sono geneticametne isolati da tutti i lignaggi tranne il loro.
La seconda teoria che pare promettere una soluzione universale al problema del sesso è complementare alla prima. Delineata nel 1964 da Hermann Joseph Muller, prende in considerazione l'isolamento genetico di chi si riproduce sempre per via asessuata, un isolamento che implica anche che nel patrimonio genetico di ogni lignaggio si possono accumulare mutazioni deleterie. E se in una popolazione ottenuta sessualmente la selezione può eliminare gli individui che presentano un carico troppo ingombrante di mutazioni, senza elimiare la discendenza, che viene portata avanti dagli individui non deterioriati, questo non può avvenire per chi si riproduce per via asessuata. E poiché la mortalità non è sempre legata alla selezione naturale, ma anche da eventi fortuiti, anche le linee clonali che presentano poche mutazioni deleterie moriranno. Il carico di mutazioni può proseguire soltanto in un senso: ovvero aumentare.
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