Dove custodiamo il dolore?

Dove custodiamo i ricordi dolorosi? O, meglio, l’aspetto doloroso dei ricordi? Due ricercatori del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Torino, Tiziana Sacco e Benedetto Sacchetti, hanno pubblicato oggi su “Science” uno studio che individua le strutture del cervello che conservano, anche per tutta la vita, le emozioni legate alle esperienze dolorose vissute in passato. Durante un’esperienza che coinvolge la nostra sfera emotiva, infatti, gli stimoli sensoriali che l’accompagnano (odori, suoni e colori) vengono associati all’emozione provata in quei momenti. Se un suono ha accompagnato un avvenimento doloroso, per esempio lo squillo del telefono che precede un’aggressione, tenderemo in seguito ad associare quel suono al rischio di essere aggrediti.Madeleine

Oppure, come ben descriveva Marcel Proust, un profumo sentito durante l’infanzia, quello del celebre docetto “madeleine”, ci può riportare alla mente in modo estremamente vivido, le emozioni di allora. In altre parole, stimoli sensoriali ed emotivi, sono strettamente legati e l’evocazione di un odore, di un profumo o di una certa fisionomia (stimolo visivo) porta a una forte evocazione delle emozioni ad esso legate.

Dove viene conservato il ricordo che ci dice che un certo stimolo è doloroso. O piacevole? “C’erano molte ricerche sul come si formano i ricordi emotivi legati a stimoli sensoriali, visivi, acustici o olfattivi, ma si sapeva poco sui luoghi dove poi queste memorie emotive vengono immagazzinate – ha spiegato Sacchetti- . Le ipotesi erano due: una è che fosse l’amigdala formare e conservare i ricordi, la seconda è che l’amigdala facilitasse la formazione di queste memorie in strutture sconosciute. Siamo perciò andati a cercare di capire dove questo tipo di tracce potesse essere immagazzinato per tutta la vita. Abbiamo lasciato perdere l’amigdala e, trattandosi di stimoli sensoriali, siamo andati a cercarli nelle cortecce sensoriali. Queste sono divise in due grosse famiglie: primarie e secondarie, alle primarie arrivano informazioni più semplici, qui si elaborano informazioni sullo stimolo elementari, per esempio se stiamo parlando di un suono, quanto questo è intenso (l’ampiezza) o la sua frequenza. Nelle cortecce secondarie (che sono già presenti nei mammiferi, ma nell’uomo aumentano enormemente come dimensioni) vengono immagazzinate informazioni più complesse, ad esempio l’interezza di una musica, la sequenza di tutti i suoni, oppure dove è localizzato un certo suono nell’ambiente che ci circonda. Ed è proprio qui che abbiamo scoperto che si conservano gli aspetti emotivi legati alle emozioni”.

I ricercatori per ora hanno studiato solo i ratti: hanno fatto ascoltare loro un suono che annunciava uno stimolo doloroso. E hanno verificato che se danneggiavano la corteccia uditiva il ratto non ricordava più la connotazione sgradevole del suono. Se però lo stesso stimolo sensoriale non era stato associato a nessuna conoscenza emotiva il soggetto continuava  a ricordarselo: ”i ratti non perdevano la memoria dello stimolo sensoriale, ma la memoria del significato emotivo che quello stimolo aveva acquisito con l’esperienza” spiega Sacchetti. Le due informazioni, sensoriale ed emotiva, risultano dunque disgiunte:  “da qualche parte viene conservata la memoria sensoriale, e nelle cortecce sensoriali secondarie (visiva se lo stimolo è visivo, uditiva se lo stimolo è uditivo, etc.) viene conservata la memoria emotiva legata a un certo stimolo”.

Le cortecce secondarie, che sono particolarmente sviluppate nell’uomo, si confermano  dunque come aree cerebrali “di ordine superiore”, vale a dire deputate all’elaborazione degli aspetti più complessi dell’informazione sensoriale.

Ma attenzione a trarre conseguenze affrettate come “presto potremo cancellare gli aspetti dolorosi dei nostri ricordi, così come i ricercatori sono riusciti a rimuovere quelli dei topi”. “Bisogna essere chiarissimi – spiega Sacchetti -: noi abbiamo scoperto semplicemente meccanismo con cui il cervello conserva il ricordo emotivo nei topi, siamo molto lontani dagli studi sull’uomo, in particolare dal capire e trattare fenomeni come la paura e l’ansia. Le paure, inoltre, sono fondamentali per la sopravvivenza, è importante ricordarsi le cose pericolose per evitarle in futuro, e il nostro cervello si è evoluto in modo da ricordare queste informazioni il più possibile. Un ricordo doloroso coinvolge sicuramente più aspetti, allo stimolo uditivo ne è spesso associato uno visivo e olfattivo. Credo che sia molto difficile riuscire a manipolare questo tipo di ricordi”.

E voi che cosa ne pensate? Se fosse possibile, cancellereste il dolore che è racchiuso nei vostri ricordi?

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SCIENCE

VOL 329 6 AUGUST 2010

  • Mery |

    C’è un libro che ho letto recentemente (Lunenbaum, di Flavio Baldes,Ed. Ghenomena) che tratta questo argomento in forma di romanzo.
    Si immagina che in un mondo parallelo, da un laboratorio militare, viene scatenata un’epidemia di “dimenticanza”, una malattia che induce gli infetti a rimuovere ogni ricordo negativo. L’epidemia investe la Francia e cancella parte della memoria collettiva. Un gruppo di “monatti” resiste alla cosa…
    L’idea del romanzo è che la gente, se ha libertà di scelta, è disposta a lottare anche per i propri ricordi negativi, perchè noi siamo fatti di memoria… Lo consiglio a tutti, è una storia molto intensa e chissà che l’autore non abbia preso spunto proprio da queste notizie…

  • Nicola Borzi |

    Mai dimenticare, mai. Anche quando il dolore è tale da non poter essere tollerato. Senza il ricordo del dolore saremmo bruti. Ma il nostro dovere è seguir vertute e conoscenza.
    La decisione di non dimenticare:
    «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
    Mai dimenticherò quel fumo.
    Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
    Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
    Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
    Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
    Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».
    (Elie Wiesel, «La notte», Giuntina 2001)
    e la sua motivazione
    «Volevano ad ogni costo uccidere l’ultimo ebreo sul pianeta. Oggi ci si potrebbe chiedere perché la memoria, perché ricordare, perché infliggere un tale dolore? In fondo per i morti è tardi ma per i vivo no. Se non si può annullare il tormento, si può invece sperare, riflettere, prendere coscienza…
    Forse, ricordando i morti, diamo un insegnamento di vitale importanza ai vivi, un insegnamento sulla vita e la morte, la luce e le tenebre, la crudeltà e la compassione. Insegniamo a chi vuole ascoltare che quello che accade ad una comunità riguarda tutti e che nessun essere umano è solo nel mondo di Dio, ma che solo Dio è solo…
    Non dobbiamo permettere che nessuna vittima del destino, o prigioniero della società – mai dobbiamo consentirlo – si senta solo, respinto, abbandonato, rifiutato».
    (Elie Wiesel, Celebrazione del Giorno della Memoria 2010 al Parlamento italiano)

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