Conclusione: Siamo gli unici ad arrossire?

Nel 1872 Charles Darwin definiva l'arrossire la più peculiare delle emozioni umane (L' espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali). E ancora oggi, nonostante alcuni studi abbiano mostrato che l'uomo non è l'unico ad arrossire, manca la prova che negli altri animali questa reazione spontanea sia associata all'emozione di vergogna, imbarazzo e di rimorso che caratterizza l'essere umano (i giovani più dei vecchi, le donne più dei maschi, ma non i bambini, come osservava Darwin).



L'avvoltoio cappuccino, per esempio, con il suo muso rosato e implume, talvolta arrossisce, e nel farlo comunica qualcosa ai suoi compari. Peter de Jong, l'autore dell'interessante studio che abbiamo citato nella domanda, ci porta questo esempio, ma spiega anche che non è al corrente dell'esistenza di studi approfonditi sul significato dell'arrossire negli uccelli. Cita uno studio del biologo Juan Negro, nel quale il ricercatore ha osservato come gli avvoltoi comunichino la loro condizione, o il loro status sociale, agli altri animali della specie. L'arrossire è stato notato quando gli uccelli litigavano per spartirsi una carcassa, e probabilmente era un segnale di dominanza, un po' come l'alzare la cresta, nel tentativo di scoraggiare gli antagonisti. Gli stessi ricercatori osservano come altri uccelli cambino colore, ma si tratta di maschi nella stagione riproduttiva, e anche in questo caso il colore potrebbe segnalare la loro disponibilità all'accoppiamento o il loro status sociale.

Alcuni animali, come gli scimpanzé, i macachi e i gorilla, inoltre, condividono con l'uomo la visione tricromatica che li renderebbe particolarmente abili a distinguere non solo la maggiore presenza di emoglobina nella pelle ma addirittura la maggiore saturazione in ossigeno di questa molecola. Due segnali associati all'arrossire. Su questa base, alcuni ricercatori come il neuroscienziato Mark Changizi, nel suo libro "The vision revolution" (BenBalla 2009) sono arrivati addirittura a ipotizzare che la potente capacità di discriminare tra i colori dei primati si sia evoluta perché era utile per la specie riconoscere sottili variazioni nel colore della pelle degli altri, per esempio per capire le loro emozioni.

In animali sociali, spiega de Jong, le informazioni relative allo stato emotivo altrui sono infatti molto importanti per interagire correttamente, e nel caso degli uomini, probabilmente per individuare gli opportunisti e le persone in malafede o invece per evitare inutili aggressioni.
Come noi, gli scimpanzé e gli altri primati con visione tricromatica hanno un'altra caratteristica peculiare: il viso non coperto di pelo, cosa che rende senz'altro più facile percepire variazioni di colore. Se e quali emozioni però esprimano gli altri primati con l'avvampare dell'epidermide ancora non si sa con precisione. Furia, eccitazione, paura, vergogna? O magari è utile vedere bene il colore della pelle per capire se l'eventuale compagno è in buono stato di salute? Speriamo che questa, come tante e più importanti risposte su questi cugini arboricoli possano un giorno arrivare: la loro esistenza allo stato selvaggio è prossima alla fine.

P.S. Abbiamo portato a Peter de Jong l'esempio fatto da Alessandra quando parla del suo cane. Conferma che alcuni animali che originariamente vivevano in gruppi, come i cani, ma anche i lupi o le scimmie, hanno dei comportamenti per acquietare altri membri del gruppo con un ruolo più dominante, che possono essere intenzionali o non controllabili, come nel caso dell'arrossire e del sudare, un'altra reazione più difficile da percepire da lontano, che però può avere la stessa funzione di comunicare agli altri le proprie emozioni.