Si può vivere senza nuocere al pianeta? E per di più senza spostarsi da Manhattan? Ecco l’avventura estrema di una normale famiglia newyorkese: una bambina di due anni, un papà fisico e saggista, una mamma giornalista di «Business Week» che ama fare shopping e ingurgitare junk food. Da un giorno all’altro, dal loro appartamento al nono piano sulla quinta strada, decidono di produrre sempre meno danni all’ambiente, cercando di ridurre il loro impatto a zero (uno zero "asintotico", utopico più che reale).
Li si può osservare passo passo mentre iniziano a eliminare i mezzi di trasporto, l’ascensore, gli acquisti di tutto ciò che non è cibo, l’elettricità, gli imballaggi, la carta igienica, i saponi, gli alimenti non cresciuti localmente, e mentre con i loro scarti nutrono una vivace cassetta di vermi che tengono in salotto (non hanno il balcone).
No impact man (domenica alle 22 in anteprima italiana al Festival Cinemambiente di Torino) non è un reality comico-demenziale, e neppure un polpettone moralistico-fricchettone che cerca di farci sentire in colpa, è il documentario provocazione di un "liberal afflitto dal rimorso", così si definisce Colin Beavan, che è riuscito a convincere a fatica la sua recalcitrante moglie, Michelle Conlin, a seguire per un anno un esperimento abbastanza radicale al grido di «puoi salvare il pianeta senza fare impazzire la tua famiglia».
Abbiamo raggiunto Beavan con un’ecologica e-mail per capire, una volta finito l’anno verdissimo, quali comportamenti inquinanti abbiano modificato per sempre, e quali invece siano stati ripristinati. «Abbiamo cercato di mantenere quelle azioni che avevano più senso – racconta –. Cerchiamo di mangiare cibo che non contenga veleni impronunciabili, prodotto localmente e da agricoltori di fiducia. Piuttosto che prendere un taxi per andare in palestra a correre su un tapis roulant facciamo esercizio durante il giorno camminando, correndo o pedalando. È ragionevole risparmiare, e dunque cerchiamo di ridurre anche il nostro consumo elettrico». Bocciato perché poco sensato il lavaggio dei vestiti a mano (o meglio, a piedi nella vasca) resosi necessario in seguito all’eliminazione dell’elettricità. «Però dobbiamo lavorare con gli altri affinché i nostri bisogni energetici e di altro tipo siano soddisfatti in modo sostenibile».
Beavan rappresenta bene una corrente di ambientalisti moderni, molto urbani e molto concentrati sui comportamenti e sulle scelte personali e quotidiane della gente comune più che sulle politiche nazionali o globali, che si sta facendo strada negli Stati Uniti dopo il fallimento dei progetti dei verdi degli anni 70, e che forse trarrà nuova energia dall’immenso disastro ecologico che si sta consumando in questi giorni nel Golfo del Messico. Prima di Beavan sono nati, per esempio, i «Compacters», gruppo di non-shoppers formatosi nella zona di San Francisco, o i «100 Mile Diet folks», una coppia di Vancouver che per un anno si è nutrita di alimenti prodotti a non più di cento miglia da casa loro. Nella stessa corrente si può far rientrare anche Jonathan Safran Foer, giovane romanziere di successo che nel saggio Se niente importa (Guanda, 2010) ha descritto l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi e le sofferenze degli animali da macello, spiegando così la decisione della sua famiglia di diventare vegetariana.
A chi vorrebbe dare il suo contributo per non danneggiare troppo il pianeta, Beavan consiglia alcuni comportamenti quotidiani ragionevoli e particolarmente efficaci. Innanzitutto smettere di mangiare manzo. «La sua produzione a livello globale ha un impatto maggiore dell’intero settore dei trasporti». Poi dimenticarsi l’acqua imbottigliata: «la fabbricazione di bottiglie di plastica e la privatizzazione dell’acqua potabile è un disastro sociale e ambientale. L’acqua in bottiglia costa di più del gasolio. Inoltre le conseguenze per la salute di bere acqua imbottigliata nella plastica non sono chiare». Beavan suggerisce di osservare un "eco-sabbath": «per un giorno, un pomeriggio o anche un’ora alla settimana non comprare niente, non usare macchine, non accendere alcun elettrodomestico, non cucinare: non usare nessuna risorsa. Dare tregua al pianeta. Se lo si fa per un mese ci si accorgerà che tale pausa migliora la vita».
Utile anche dare al non profit una percentuale fissa del proprio reddito. «Attualmente molti dei nostri sistemi sociali e pensionistici sono legati al consumo, che a sua volta dipende dall’uso delle risorse planetarie – spiega Beavan –. Ma l’idea di comprare cose per aiutare la gente è folle, specialmente se consideriamo che i nostri consumi danneggiamo l’habitat da cui dipendiamo per la salute, la felicità e la sicurezza. Il mio slogan è "Se vuoi veramente aiutare, non fare shopping, aiuta e basta!"». Più ovvio il consiglio di arrivare dove si vuole con le proprie energie: «se ci si impegna a spostarsi a piedi e in bici per alcuni giorni al mese non solo si useranno meno combustibili fossili e si produrranno meno gas serra, ma la salute migliorerà e tutti respireremo meno gas. Una città con pedoni e ciclisti è molto più piacevole di una intasata di auto». Non inquinare deve diventare un impegno: «L’inquinamento è un costo per noi e il pianeta. Non surriscaldare la casa d’inverno fa una grande differenza, ma anche non usare l’asciuga-vestiti, fare la metà dei viaggi ma starci il doppio, riparare gli oggetti invece di ricomprarli…». Viva la vita in comunità: «Organizzare cene con gli amici, cantare, giocare, divertirsi con gli altri costa molto meno al pianeta che divertirsi a spese delle sue risorse». Anche quando si lavora si devono mantenere gli stessi princìpi, prendersi cura del pianeta. Sarebbe auspicabile strappare alla tv un giorno alla settimana per fare qualcosa di ecologico. Conclude Beavan: «Bisogna credere fermamente che lo stile di vita faccia la differenza, a molti livelli: siamo tutti interconnessi. Ogni passo verso un modo di vivere più consapevole delle conseguenze delle nostre azioni è di sostegno agli altri. Siamo i padroni del nostro destino, dunque comportiamoci come tali». Beavan ora si dedica a «No Impact Project», una organizzazione non governativa che aiuta le persone a trovare stili di vita migliori per loro stesse e per il pianeta.
E voi cosa ne pensate? Si può vivere a impatto zero? Siete daccordo con Beavan? Quali comportamenti sareste disponibili a modificare?