Col muso tra le zampe, un lupo affamato acquattato nella tana ascolta la tormenta di neve sferzare la notte e un grido farsi strada nel fragore, mentre un padre e un cane aspettano inquieti tra le pareti di pelli del čum una mamma con la sua bambina partite sulla slitta in un giorno di sole.
Spostandosi sapientemente dal tepore dei rifugi e degli affetti di uomini e animali alla violenza assassina che improvvisamente può scatenarsi nella tundra artica – dove il tempo «sembra essersi cristallizzato e non sarebbe strano veder spuntare all’improvviso dal mulinante biancore della bufera l’enorme mole di un mammut» – Anna Nerkagi narra in Aniko la vita di un gruppo di nenec della sperduta penisola di Jamal negli anni 60-70. Usa frasi minimali e acuminate per raccontare il dolore, il sangue e la furia della natura, e appena più arrotondate e ricche per descriverne invece la bellezza, il disgelo, la vita pacifica e solidale dei samoiedi, creando con tali contrasti un’intensa tensione drammatica che incombe lungo tutta la narrazione.
Scritto nel 1974 e solo ora tradotto, il romanzo è una rara e appassionante testimonianza diretta della vita di questo popolo di cacciatori e allevatori di renne della Siberia occidentale noto anche come «nenci» o «nenezi», ma di fatto sconosciuto ai più e presto forse a tutti. Se infatti già in Aniko troviamo una regione battuta da geologi alla ricerca di petrolio, la scoperta – vent’anni dopo – di riserve di gas fra le più grandi al mondo e il riscaldamento climatico che ha aperto il passaggio a Nord Ovest alle rotte commerciali stanno rendendo sempre più impraticabile la transumanza e minacciano l’esistenza dell’antica cultura nomade.
Il dilemma attorno cui la vicenda si svolge è quello drammatico che si sono trovati ad affrontare tutti i popoli colonizzati e di cui hanno scritto ad altre latitudini maestri come Chinua Achebe o Cheikh Hamidou Kane: l’avventura ambigua di mandare i figli alla scuola dei bianchi. Ai genitori nenec che si rifiutano di farlo, il rispettato cacciatore Passa fa chiudere le palpebre: «Allora adesso riapri gli occhi. Vedi, la luce è tornata. Essere istruiti è come camminare con gli occhi ben aperti. Nella vita non ci sono solo orme di volpi polari da scovare…» dice loro, forte della sua granitica fede nell’Urss. Solo che i figli, tolti alle famiglie a sei anni, non tornano più. E se tornano non ricordano la lingua, non sanno sopravvivere nella tundra, costruire i čum, occuparsi delle renne, cacciare.
È questa la storia di Aniko, e dell’autrice stessa: quando, dopo undici anni trascorsi negli internati lontani e infine all’università, fa ritorno al suo accampamento per seppellire la madre e la sorellina divorate dal lupo non riconosce il volto del padre. Resterà?
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Aniko
Anna Nerkagi
Traduzione dal russo
di Nadia Cigognini
Utopia, pagg. 144, € 18
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