Perché se dici a un maschio bianco che ha beneficiato del “privilegio del maschio bianco” la prende come un’offesa?

«Alla luce del sole il bianco indurisce nei lineamenti». Questo verso affilato è contenuto in Just Us. Una conversazione americana, l’ultimo libro della poeta e scrittrice Claudia Rankine, insegnante di poesia a Yale che, come già in Citizen (66thand2nd, 2017), alla scrittura lirica unisce quella in prosa, ma anche immagini, analisi, grafici, citazioni. Chi non fosse sicuro di averne còlto il significato amaro potrà capirlo meglio leggendo il testo in prosa riportato diverse pagine prima, quando, con l’ironia, ma anche la caparbia empatia che la contraddistingue, scrive: «Sto cercando di capire come mai se dici a un maschio bianco che ha beneficiato del “privilegio del maschio bianco” la prende come un’offesa».

Maestra nel denudare i pensieri razzisti interiorizzati, le trappole del pensiero in cui si indulge per non rinunciare allo status quo, l’incapacità dei bianchi, ad esempio, di vedere la propria “bianchezza”, e dunque di discuterla, maestra cioè nel capire cosa si pensa quando non si pensa, Rankine capovolge un altro luogo comune dove spesso si arena il cicaleccio sulla razza e anche sul genere, attraverso il racconto di un episodio simile: «un amico che non era riuscito a ottenere un certo lavoro mi disse che, in quanto uomo bianco, si stava facendo carico dei problemi del mondo. Intendeva dire che lo stavano punendo per i crimini dei suoi antenati. Voleva farmi sapere che lui capiva: era giusto che portasse quel fardello. (…) Volevo chiedergli se le sue aspettative fossero un sinonimo del suo privilegio ma ho deciso, siccome aveva appena avuto una delusione professionale, che il ruolo di amica probabilmente richiedeva una reazione diversa».

Claudia Rankine

Claudia Rankine, poeta americana autrice di Just Us, Citizen, Non lasciarmi sola

Amaramente osserva anche che: «Tra i bianchi, ai neri è concesso di parlare della precarietà delle loro vite, ma non di implicare in quella precarietà i presenti. Non gli è permesso di indicarne le cause. In Sexism – a Problem with a Name, Sara Ahmed scrive che “se nomini il problema diventi tu il problema”. Creare disagio puntando il dito su una realtà è considerato socialmente inaccettabile». E non è un caso che la citazione sia tratta da un libro sul maschilismo, avendo questi comportamenti aspetti sovrapponibili.

Dopo aver constatato che i maschi bianchi «non potevano sapere com’era essere me, sebbene ciò che sono io sia in parte una reazione a ciò che sono loro e nemmeno credevo davvero di capirli, anche se avevano un ruolo tanto importante nel determinare le possibilità della vita mia e altrui» Rankine si cimenta in una quête per capire i drammatici effetti che ha prodotto l’aver associato alla bianchezza l’idea di universalità e normalità (e anche in questo caso un parallelismo si potrebbe fare con l’aver fatto del maschio il metro di tutte le cose). Un tema ben presente nella letteratura afroamericana, almeno fin dal romanzo d’esordio di Toni Morrison, L’occhio più azzurro (1970, Sperling & Kupfer), qui esplorato con sistematica analicità, spaziando dai sondaggi agli studi socioeconomici, criminologici, filosofici, artistici. Punto di partenza è sempre una vicenda personale, argomentata tramite ricerche e osservazioni anche di altri studiosi e scrittori. «Io il colore della pelle non lo vedo», afferma un giorno un simpatico compagno di viaggio. «Non sono forse una donna nera? Non sei forse un uomo bianco?» articola lentamente Rankine. «Non lo vedi? Perché se non riesci a vedere la razza, non puoi vedere neanche il razzismo» risponde citando Fragilità bianca di Robin DiAngelo. Just Us, gioco di parole tra «giustizia» e «solo noi», a sottolineare l’ineguaglianza che separa americani bianchi e neri, è infatti anche una summa di decenni di studi e di letture sul genere e sul razzismo qui condensati e subliminati per divenire strumento capace di acuire ciò che Rankine dichiara di volere per sua figlia: «la capacità di affrontare il mondo con un’immaginazione empatica».

Un’immaginazione che non può prescindere dalla storia. «Passato, presente e futuro non sono entità discrete e rimosse l’una dall’altra, ma piuttosto una simultaneità intricata che tutti abitiamo. Considerazioni che solo per i neri sono quasi un’ovvietà» scrive riferendosi all’eredità della schiavitù e citando Saidiya Hartman (autrice di Perdi la madre. Un viaggio lungo la rotta atlantica degli schiavi, Tamu, 2021). Mentre a un Presidente che si definiva ”nazionalista”, Rankine in questo libro del 2020, risponde con un’affermazione di Ta-Nehisi Coates che parla molto anche agli europei: «La vera questione non è se resteremo legati a una parte del nostro passato, ma se saremo abbastanza coraggiosi da legarci al nostro passato per intero».

Dell’effetto tossico e disumanizzante del privilegio parla anche un altro interessante libro di poesia civile: Alla linea, di Joseph Ponthus, che richiama anche la «solitudine etica (la definizione è di Jill Stauffer, ndr): l’isolamento che una persona prova quando, essendo stata violata o essendo membro di un gruppo che ha subìto persecuzioni, si è vista abbandonata dall’umanità, o da chi ha potere sulle sue prospettive di vita» altra idea che permea il testo di Rankine. Alla linea è il racconto autobiografico di un quarantenne francese che dopo studi di letteratura e un passato di operatore sociale, si trasferisce in Bretagna e, non trovando lavoro, si ritrova a fare l’operaio interinale. Di notte, nella fabbrica di produzione, trasformazione e cottura di pesci e gamberetti ci va per soldi, non per scrivere, ma «con il passare delle ore e dei giorni il bisogno di scrivere si ficca tenace come una lisca in gola/ Non la desolazione della fabbrica / Ma la sua paradossale bellezza». E sono davvero liriche e sorprendenti le prime pagine di questo poema che della catena hanno il ritmo incessante e l’essenzialità dei movimenti. «La luce dei neon/ I gesti automatici/ I pensieri che vagabondano/in un torpore di risveglio/ Tirare trascinare smistare portare sollevare pesare ordinare/ Come quando ti addormenti/ senza nemmeno provare a scoprire perché i gesti e i pensieri si mescolano/ Alla linea». Un reportage in versi liberi che tra citazioni di Samuel Beckett e di Thierry Mez, poeta operaio da poco riscoperto (Diario di un manovale, 2020, Edizioni degli Animali) s’impenna nel raccontare il lavoro ripetitivo che «A volte è rassicurante come un bozzolo/ fai senza fare /Vagabondando tra i tuoi pensieri» e i tormenti dell’interinale che conta il tempo per tornare a casa, ma quando è a casa pensa a mettere la sveglia per un nuovo turno massacrante, o peggio alla possibilità che l’indomani non lo chiamino. Alla precarietà economica e umana di questa schiavitù volontaria – «Sono lì senza essere lì/ Come se/ fossi di passaggio/ La vera vita sarà una volta che avrò staccato» – che logora anche l’ispirazione.

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Just Us

Claudia Rankine

Traduzione di Francesco Pacifico

66thand2nd, pagg. 360, € 24

Alla linea

Joseph Ponthus

Traduzione di Ileana Zagaglia

Bompiani, pagg. 250, € 18

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