Chi siamo veramente? La domanda risale alla notte dei tempi, eppure Jeffrey Gordon ha una risposta quanto mai originale. Siamo i diecimila miliardi di cellule che compongono il nostro corpo e che hanno lo stesso patrimonio genetico, più centomila miliardi di cellule batteriche di vario tipo, più una galassia ancora più grande di differenti virus che stanno stabilmente dentro queste cellule batteriche e che probabilmente danno loro una mano.
Siamo un organismo di organismi, che vivono in simbiosi. Detto in altro modo: ciascuno di noi differisce dagli altri per il suo Dna (sempre che non abbia un gemello), per i batteri che ospita (che però all’interno di una famiglia sono simili), e per i virus "buoni" che stanno dentro a questi batteri e che invece sono molto specifici e variano parecchio da persona a persona, anche se si tratta di gemelli identici. L'esistenza di una forte identità virale (un "viroma", per paragonarlo al genoma) è stata scoperta da Gordon, che è il direttore del centro per gli studi genomici della Washington University di St Louis. Insieme a Forest Rohwer, della San Diego State University e ad altri ricercatori ha studiato i batteri che stanno nel nostro intestino e che, per esempio. sintetizzano amminoacidi e vitamine essenziali per il nostro organismo o che aiutano nella digestione di sostanze che altrimenti non potremmo assimilare. Ha così scoperto che questi microorganismi erano a loro volta colonizzati stabilmente da virus, virus per l’80% erano sconosciuti (lo studio è stato pubblicato su «Nature» settimana scorsa).
«Questo è un mondo ancora ampiamente inesplorato. Siamo la somma di parti umane e microbiche» ha commentato Gordon, il cui obiettivo finale è capire se questo ecosistema che ospitiamo può essere in qualche modo legato alle malattie, alla nostra risposta alle patologie, o per esempio alle allergie, che sono molto aumentate negli ultimi anni e che si ipotizza possano essere legate alla perdita, a causa del troppo igiene, dei microrganismi che ci aiutano a far funzionare il corpo.
L’individuo è il risultato non dell’espressione di un singolo Dna, bensì di un «paesaggio genetico», scrive Gordon. In altre parole, una persona non sarebbe altro che un’ammucchiata di migliaia di miliardi di organismi differenti che lavorano all’unisono per renderci unici, unici ma plurimi. Siamo perciò un paradosso vivente (nel vero senso della parola)?
«Unici ma plurimi non è una cosa nuovissima – risponde Franca D’Agostini, professore di Filosofia della Scienza al Politecnico di Torino e autrice, tra gli altri, del recente saggio Paradossi (Carocci) – Fin dalle origini della filosofia troviamo l’idea che l’identità sia plurima, che si ospitino diversi io nell’io. Sia Platone sia Aristotele sostenevano che l’unità è uno-singolo, ma anche uno-tutto, dunque è composta di molte parti. Gli epistemologi dicono che noi siamo sistemi conoscitivi plurimi frammentati. Per esempio Roy Sorensen (filosofo della medesima Washington University in St. Louis, ndr), sostiene la vecchia teoria degli omuncoli che starebbero all’intero di ciascun essere umano, come diversi uffici che svolgono funzioni diverse, a volte all’insaputa l’uno dell’altro; funzioni che a volte convergono dando origine a quella che una volta si chiamava “intuizione a priori”».
«C'è rischio di un abuso della nozione di identità – commenta Roberto Casati, filosofo dell'École normale supérieure -. Se riduco la mia identità a ciò di cui sono fatto, devo poi tenere conto del fatto che ciò di cui sono composto cambia continuamente, perché si rinnovano i materiali di cui è costituito il mio corpo, mentre io resto me stesso. Anche il determinismo genetico è un mito che proietta una forma banale e semplicistica di identità, mentre in realtà ciò che le persone sono dipende moltissimo dall’ambiente. Questo ambiente include anche a questi virus e batteri con cui conviviamo. Noi dipendiamo da quello che inglobiamo e da ciò che ci ingloba. E' interessante identificare i virus e batteri che abitano dentro di noi, ma questo non minaccia l'idea di quello che siamo, né cambia radicalmente il nostro modo vedere noi stessi o la nostra identità di specie. Non porta una rivoluzione concettuale paragonabile al darwinismo, la scoperta che siamo imparentati con tutte le specie viventi».
Dal punto di vista pratico però – secondo Rohwer – le cose cambierebbero parecchio: «il fatto che siamo un "paesaggio genetico", muta in modo fondamentale il modo in cui pensiamo all’individuo dal punto di vista medico. Quando cerchiamo di curare una malattia, o di capirne le origini, dobbiamo tenere conto del fatto che l’organismo sano o malato non è solo l’effetto del patrimonio genetico o di agenti esterni come virus o batteri infettivi, ma anche di questo ecosistema che vive in simbiosi con noi».
E voi che ne pensate? Chi siamo veramente?
Reyes, A. et al. Nature 466, 334-340 (2010).