Gli archeologi della mente li chiamavano "lobi silenti": la funzione dei lobi frontali è così elusiva ed enigmatica che i primi che cercarono di comprenderla si convinsero che non esistesse. Eppure nell’uomo queste aree cerebrali occupano quasi un terzo dello strato esterno del cervello (il doppio rispetto allo scimpanzé), tanto che la nostra evoluzione è stata denominata "l’era dei lobi frontali".
Già alla fine degli anni Sessanta Elkhonon Golberg, ora professore di Neurologia alla New York School of Medicine, con il suo maestro, Aleksandr Lurija, cercò di decifrarne il ruolo. La sinfonia del cervello (di Elkhonon Goldberg, Ponte alle Grazie, Milano, pagg. 420, euro 20,00), versione arricchita dell’Anima del cervello è il racconto di un viaggio intellettuale e umano che parte da Mosca e arriva ai giorni nostri, per spiegarci quello che sappiamo della mente, e in particolare di quella parte che fa di un individuo ciò che è, definisce la sua identità e ne racchiude pulsioni, ambizioni, personalità ed essenza: i misteriosi lobi frontali, appunto. La narrazione comincia col doloroso addio a Lurija, che aveva offerto al giovane Goldberg di entrare nel partito comunista, lo stesso partito che aveva spedito il padre dell’autore in un gulag. Il suo rifiuto segna l’inizio di un avventuroso piano per lasciare l’Urss, e del difficile compito cui furono sottoposti i suoi lobi frontali. Perché è proprio quest’area che sovraintende alle decisioni "ambigue". Diversamente da ciò a cui ci abitua la scuola, nella vita la maggior parte delle scelte che facciamo riguarda problemi che non hanno soluzioni intrinsecamente corrette. Sono le cosiddette "libere scelte".
In generale, se i lobi frontali sono danneggiati si perde la capacità di decidere in modo autonomo, come accade all’inizio del declino cognitivo degli anziani, quando diventano indecisi, esitanti, o in certi disturbi mentali. Grazie alla maggiore comprensione della funzione di quest’area cerebrale, nel 2002, la Corte suprema Usa, pronunciandosi contro la pena capitale per i ritardati mentali, ha riconosciuto che un individuo può possedere una conoscenza "descrittiva appropriata" – cioè sapere in teoria cosa è bene e cosa è male – ma avere una conoscenza "prescrittiva carente" – cioè non essere in grado, all’atto pratico, di usare questa conoscenza per decidere come comportarsi. In generale i lobi frontali (o meglio, una loro parte, la corteccia prefrontale) sono responsabili dell’intenzionalità, dell’attività decisionale complessa. In altre parole, svolgono le "funzioni esecutive": come una grande azienda o un’orchestra, anche la mente consta di distinte zone che servono a funzioni distinte, a coordinarle c’è un dirigente esecutivo, o un direttore d'orchestra.
E qui si trova, secondo Goldberg, la coscienza. Ma attenzione a non porre troppa enfasi su tale concetto: «Ho sempre ritenuto che questa nozione nascondesse meno di quanto si creda. Dal mio punto di vista avere una coscienza significa avere la neocorteccia, in particolare le regioni associative. Il fenomeno dell’esperienza cosciente non è niente di più né niente di meno dell’attivazione di una rete neocorticale sufficientemente ampia per un tempo abbastanza lungo e con un’intensità sufficientemente elevata» scrive Golberg, che prende a prestito l’elegante espressione del suo collega Antonio Damasio, «L’errore di Cartesio» per definire lo sbaglio di chi credette che la mente avesse una vita sua, indipendente dal corpo, e che critica il fatto che ancora «molte persone istruite considerino l’ambizione, intuizione, la capacità di previsione, ossia gli attributi che definiscono la personalità e l’essenza di un individuo come attributi "extracranici", quasi si trattasse di qualità degli abiti che indossiamo e non della nostra biologia» . Secondo Golbergi, l’avvento della corteccia prefrontale, che ha la capacità di formare rappresentazioni neurali che non si basano sull’esperienza diretta (per esempio la rappresentazione mentale di una sirena, una sintesi di donna e pesce) è andato di pari passo con l’emergere della coscienza. Sarebbe l’area dove tutti i substrati neurali convergono, un’area che deve esistere poiché qualsiasi aspetto del nostro mondo mentale può essere al centro dell’attenzione della nostra coscienza.
In questo volume Golberg chiarisce anche molto bene la sua teoria secondo cui i due emisferi non rappresentano funzioni differenti, ma novità e familiartità: quando si deve affontare, imparare una cosa nuova si attiva quello destro, dove si forma e immagazzina una rappresetnazione gossolana di quel che sta accadendo, e man mano che questa cosa diventa nota si ha un graduale spostamente verso il il sinistro, dove la rappresentazione divanta più precisa ed efficace (ma attenzione, ci sono differenze nelle donne). L'apprendimento è dunque un processo dinamico che coinvolge nelle prime fasi l'emisfero destro, e poi, man mano che si affina, quello sinistro. Tanto che il cervello di un musicista principiante, quando suona, utilizzerà soprattutto la parte destra dell'encefalo, mentre uno esperto, userà le conoscenze immagazzinate in maniera più fine ma anche più rigida, in quella sinistro.
Goldberg chiarisce subito che nel libro non ha tentato di essere obiettivamente esauriente e sistematico. È sua intenzione (riuscita) è presentare un punto di vista personale, originale e a tratti provocatorio su questioni delle neuropsicologia e delle neuroscienze cognitive. Il suo è un testo fondamentale, già scrisse Oliver Sacks. Dà una visione d’insieme coerente dell’«organo sconosciuto che ci rende ciò che siamo, che ci dona le nostre preziose facoltà e che ci schiaccia sotto il peso dei nostri punti deboli: il cervello è il microcosmo, l’ultima frontiera».
E voi che cosa ne pensate? Che cosa è la coscienza? Che cosa ci rende ciò che siamo?
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Lara Ricci