«Io posseggo, e sono posseduto, da quattro cani morti e meravigliosi, forse non più belli degli altri cani defunti nell’eternità del passato, che onorarono questa valle di lacrime, comunque molto meravigliosi» recita un testo inciso da Dino Buzzati per la Rai il 10 marzo 1959, e riportato in Il cane secondo me, di Danilo Mainardi. L’etologo-scrittore ha dedicato un intero saggio ai domestici quadrupedi, un capitolo al loro rapporto coi gatti, e un’appendice ai suggerimenti su come allevarli ed educarli (scritto dalla figlia Luisa).
In copertina il grande naso umido di Orso, un golden che accompagna Mainardi per le calli di Venezia, dove i negozianti apostrofano lui e la moglie come «il signore e la signora Orso»: ignorano il nome della coppia, ma ricordano quello del loro simpatico famigliare. Sì, c’è scritto famigliare perché Mainardi sostiene che il cane fa parte a tutti gli effetti della famiglia umana e propone di includere quelli di casa nello stato di famiglia: dichiararli all’anagrafe. Si responsabilizzerebbero i padroni e si tratterebbe, secondo l’etologo, di sancire semplicemente una realtà di fatto. Esattamente come quando si riconoscono effettivi – ma non in Italia – i matrimoni di fatto, ovvero quelle unioni dove una donna e un uomo, o due donne o due uomini, vivono insieme in comunione di tante cose: «Dall’affetto all’affitto», scrive con una battuta.
Mainardi cerca di sfatare antichi pregiudizi. Vuole soprattutto mostrare fino a che punto questi intelligenti animali siano capaci di provare sentimenti e di quanto abbiano bisogno di essere trattati bene, dipendendo fisicamente e affettivamente dai loro padroni, senza i quali sono infelici. Disapprova invece tutte le forme di umanizzazione. In altre parole, non ci sarebbe niente di male a considerare il cane come un figlio – anzi –, ma bisogna rispettare la sua natura di cane. Sbaglia chi è iperprotettivo, chi non lo lascia libero di fare le proprie esperienze, confrontandosi con altri cani e esplorando il territorio dove vive, o addirittura sostituisce la dovuta passeggiata con tapis roulant per quadrupedi o ancora lo spruzza di nauseante, confondente profumo. «Poveri loro, che in quest’ottica perversa, "hanno tutto"» commenta ironico.
I cuccioli dovrebbero essere lasciati con madre e fratelli fino ai due mesi e mezzo d’età, avverte l’etologo che con la consueta delicatezza ci spiega come interpretarne le emozioni e i pensieri, lamentando come spesso siano considerati oggetti non meritevoli d’un rispetto adeguato alla loro intelligenza e sensibilità. Cani sani e ben educati, secondo Mainardi, dovrebbero poter entrare dappertutto. Fa l’esempio positivo dei randagi di Ischia, accolti e graditi da tutti, seguiti dall’Asl locale. Nutriti e coccolati, hanno acquisito un comportamento estremamente civile e dignitoso. Perché i cani – spiega – sono dei veri specialisti della vita pacifica di gruppo, come del resto i loro progenitori lupi. I problemi nascono quando i cagnolini vengono cresciuti incitandoli alla violenza e al combattimento, quando si esagera con il guinzaglio impedendogli di fare conoscenze e sviluppare una corretta socialità, o quando un randagio nasce fuori dalla presenza umana e quindi non subisce l’imprinting sulla nostra specie.
Conoscere i cani significa anche capire qualcosa di più su di noi e sul mondo. Ben più di quanto ci si possa aspettare. Mainardi si interroga sul senso di colpa canino, spiega come si può "leggerne" la coda (se vira leggermente a destra il cane si sta avvicinando bonariamente a qualcosa o a qualcuno, se vira a sinistra indica la presenza di una componente di paura), ne analizza il lessico familiare fatto anche di gesti, sguardi ed espressioni del viso. Sottolinea come non sia vero che gli animali non umani vivono solo nel presente. Spiega che i cani, come gli uomini o le chioccioline, sono capaci di "spegnere" gli istinti. I figli del lupo si sanno inibire, sanno ragionare, trovare soluzioni ai problemi, amare il loro padrone di un amore che non conosce divorzio. «A me i cani – spiega – piace scoprirli come persone piene di sfaccettature. Persone non umane ma ugualmente complesse e interessanti». Può nascere così un’amicizia allo stato brado, da lupo a lupo. Come quando, nell’Anello di re Salomone, Konrad Lorenz e la sua Susi fuggono assieme, liberi, lungo il fiume dalle rive selvagge, nuotano felici l’uno accanto all’altra. Lui impigrisce al sole, lei caccia topi.
E voi cosa ne pensate?
È giusto trattare i cani come figli, o almeno come familiari ?
O invece, è giusto amare i cani come figli, trattandoli come cani?
Li inserireste nello stato di famiglia?
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P.S. Le immagini rappresentano, nell'ordine
Il terranova, forte senza ferocia. Il terranova è un cane d’acqua. Da tempo immemorabile, in Canada, è usato come cane da salvataggio in caso di naufragio. Sa apprendere a portare in acqua un salvagente, trascinare una fune fino a riva e accompagnarvi chi è in difficoltà o è svenuto. Del suo terranova Byron scrisse: «Fu bello senza vanità/ forte senza ferocia. / Possedeva tutte le virtù / dell’uomo senza i suoi vizi».
Il Basenji, figlio dei cani degli antichi egizi. Il basenji è il primitivo cane centrafricano, compagno di caccia dei pigmei. Ha vissuto isolato nel cuore della foresta per millenni, dove fu portato dagli egizi. Rispetto ai cani disegnati nei geroglifici è diventato solo un po’ più tozzo. Testimone dell’antichità delle sue origini, e dell’isolamento, è il fatto che a differenza degli altri cani non abbaia, semmai mugola, uggiola, ulula e guaisce, e va in estro solo una volta l’anno.
Il cane nudo del Messico. Lo xoloitzcuintle è il cane nudo del Messico, dove rappresenta un dio venerato e temuto. Per antica tradizione sono tenuti a dormire dentro il letto e le donne, insieme oppure in vece di un bambino morto, li allattavano al seno. Non è l’unico caso di cane nudo: sono stati selezionati parallelamente in altre parti del mondo il levrieretto d’Africa, il cane nudo delle Antille, del Guatemala, dell’Indocina.