Amore carnale o amore spirituale? Poesie erotiche dell’antichità

Voglio fare l'amore con te. Poesie erotiche dell'antichità classica - copertina

«Eros lascivo/ io voglio cantare» dichiara Anacreonte. Lo prende alla lettera il poeta, scrittore, classicista Nicola Gardini, scegliendo 61 componimenti erotici dell’antichità greca e latina e traducendoli con la sua impareggiabile maestria: la voce dei personaggi innamorati, o devastati dal desiderio, di duemila, duemilaseicento anni fa, giunge a noi nitidissima, fresca, intellegibile come se fosse contemporanea, ma non alterata. Trafigge.

Voglio fare l’amore con te, è il titolo – tratto da un altro verso di Anacreonte – della raccolta. Dei due tipi di amore che Pausania descrive a Fedro nel Simposio di Platone – quello sensuale, carnale, che fa derivare da Aphrodite pandemos, e quello celeste, che eleva lo spirito, figlio di Aphrodite ouranios – qui si è scelto di andare alla ricerca del primo. «L’amore intrinsecamente sessuale, che pretende l’accoppiamento fisico e porta la persona a cercare il piacere a tutti i costi e a stare malissimo se non lo ottiene. Un amore che non si governa e si insegue fino alla pazzia o alla morte. Un amore possesso. Un amore brama. Un amore geloso. Un amore carnale», spiega Gardini, nella prefazione.

È l’Eros cui «sottostanno gli dei», cui «si piegano gli uomini» (sempre Anacreonte), forza primigenia e mutevole, tanto sovversiva da scardinare la geografia del potere. Non è l’amore per la «delicata vergine/ che il nobile Peleo si portò sposa», è l’amore per Elena, per cui «perirono i frigi,/ perì uno stato» (Alceo). Non è nemmeno l’amore che Catullo provava per Lesbia quando questa diceva di preferirlo persino al dio Giove: «Allora m’eri cara non tanto come amante/ ma come al padre è caro il figlio o il genero», ma quello che prova dopo la delusione, quando l’amore si è scisso, si è trasformato: «Adesso ti conosco: e, se brucio più forte,/ per me hai perso però peso e valore./ E come? Perché hai offeso così tanto il mio amore/ che amo di più ma voglio meno bene». L’amore di Odi et amo, che Gardini rende così: «Odio ed amo. Com’è che accade forse chiedi./ Non so. Ma so che accade; ed è una croce».

Non risparmia Saffo: «Eros mi scosse/ l’anima, come un vento che sul monte investe le querce»; aggioga Ibico: «[…] Per me, però, l’amore/ non ha riposo in alcuna stagione./ Ma come il tracio vento del nord/ fiammante di folgori, assaltando/ da parte di Cipride con ardenti follie,/ scuro, spavaldo,/ dal profondo possiede/ l’anima mia». Non c’è scampo, osserva Vigilio, nelle Bucoliche: «[…]ognuno una voglia trascina./ Guarda, l’aratro al giogo appeso riporta il giovenco/ e allungandosi l’ombra raddoppia nel sole che muore;/ me tuttavia l’amore consuma; all’amore limite manca?»

Il desiderio definisce chi lo prova, per opposizione. Nell’inquieta vaghezza in cui viene lasciato l’amante «l’io perviene a conoscersi e a distinguersi dalla totalità della vita come spazio di un conflitto; perfino, di una contraddizione: a dirsi “io” nell’ora stessa in cui smette di esser padrone di sé e aspira a mutarsi nell’amato (o amata); a dissolversi o risolversi nell’altro (o altra). Senza riuscirci, che faccia sesso o no. Ecco il dramma dell’”essere individuo”, cioè dell’”essere uno e quello unicamente”», scrive Gardini.

«E cascare sull’otre ardente, e ventre/ a ventre unire, coscia a coscia» si legge, in un frammento di Archiloco. Chissà se la poesia proseguiva con lo strazio descritto da Lucrezio: «E infine,/ quando, accoppiati, si godono il fiore/ degli anni, e il corpo sente già il piacere/ e Venere sta per inseminare/ il campo della donna, avidamente/ s’avvinghiano mischiando le salive/ e ansimano mordendosi le bocche,/ inutilmente, perché non potranno/ strapparne niente, né compenetrarsi/ e dissolvendosi scambiarsi i corpi./ Sembra proprio che questo abbiano in mente,/ che per questo combattano: con tanta/ foia s’avvincono nelle strettoie/ di Venere, finché le membra, scosse/ dal violento piacere, illanguidiscono» .

«L’esperienza d’amore è esperienza di una solitudine inestirpabile: riconoscimento di un destino personale che non si compirà certo nel bacio e nell’abbraccio; e neppure nella copula, che di tutte le pratiche sessuali è quella che più sembrerebbe avvicinarsi alla corrispondenza totale. A ognuno il suo destino. A ognuno la sua foia, che, se smettiamo finalmente di ragionare con il paraocchi del perbenismo, ci apparirà la più alta forma di ascesi che l’essere umano abbia la possibilità di conoscere», scrive Gardini. Che, dell’altro amore, quello che vive anche quando la carne è scomparsa, ha parlato nel memoir Nicolas (Garzanti, 2022) e in splendide poesie ancora non raccolte in volume.

Tra i componimenti c’è l’ode della gelosia di Saffo, di cui Catullo diede una versione latina, qui tradotte in un italiano di commovente bellezza, per claritas e simplicitas. E troviamo il fanciullo che «Desidera sé stesso e non capisce,/ gli elogi vanno a chi li fa; e, bramando,/ è bramato»: il Narciso delle Metamorfosi, emblema dell’amore di sé e di colui che muore per essersi scambiato per un altro, per alienazione. «Perché tentare, ingenuo, d’afferrare/ invano uno sfuggente simulacro?/ Quello che vuoi non vive in nessun luogo./ Quello che ami lo perdi se ti volti!/ Ombra scorgi d’immagine riflessa:/ nulla ha di suo; con te viene e rimane; /con te andrà via, se andare via potrai!».

Poche sono, non per colpa del curatore, ma del ruolo cui è relegata la donna da millenni, le voci femminili. Del loro desiderio parlano perlopiù gli uomini, come Virgilio con la sua struggente Didone: «[…] Intanto dolce/ la fiamma la divora dal profondo,/ ben dentro il cuore silenziosa ha vita/ la ferita. Didone, sventurata,/ brucia e percorre la città impazzita/…» Chissà se, libere di esprimersi fuori da un canone maschile, avrebbero cantato un amore diverso… Un amore, per esempio, più ampio, capace di racchiudere anche quello per i figli, che è pure indubbiamente un amore del corpo, almeno per la donna, infiammata com’è da neurotrasmettitori e ormoni quali l’ossitocina. O, come alcune fanno oggi, un amore senza possesso… Oltre a Saffo e Nosside, qui, parla solo la romana Sulpicia. Nel medesimo componimento descrive la triste condizione femminile, per cui il sesso è macchia, e, fiera, la riscatta: «L’amore infine è giunto, e rivelarlo/ mi dà meno imbarazzo che sentirmi/ dire che lo celassi. Vinta dalle/ mie Muse, Venere me l’ha portato/ e messo tra le braccia. Oh, lei mantiene/ la parola! Racconti le mie gioie/ chi non ne ha avute. Io mai vorrei affidare/ a tavolette sigillate segno/ che altri non legga prima del mio amato./ Mi piace la mia colpa e mi disgusta/ mascherarmi da brava signorina./ Si dica invece: è degna e sta con degno».

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Voglio fare l’amore con te. Poesie erotiche
dell’antichità classica

A cura di Nicola Gardini

Ponte alle Grazie, pagg. 144, € 10