Dalle riserve e dai parchi africani arriva ogni giorno un bollettino di morte. Stanno sterminando elefanti e rinoceronti a una velocità impressionante. Ho deciso dunque di ospitare nel mio blog l'importante testimonianza della scrittrice Kuki Gallmann, un accorato appello che abbiamo pubblicato sul Domenicale scorso. Kuki Gallmann vive da 40 anni in Kenya dove, per onorare il nome del marito e del figlio morti in un incidente, ha fondato Gallmann Memorial Foundation e la Laikipia Nature Conservancy. Da allora lotta in prima linea contro il bracconaggio.
Elefanti, addio
di Kuki Gallmann
Le raffiche di Kalashnikov echeggiano nella valle del Grande Rift non più solo nelle notti di luna piena. Nel sole di mezzogiorno seguo una delle mie squadre antibracconaggio, lungo un pendio scosceso, fino a una valle, dove so di trovare la carcassa sfigurata di un altro elefante.
Questa volta è una femmina. Una matriarca di forse trent’anni a giudicare dal corpo, dall’usura delle unghie: le zanne, divelte a colpi d’ascia sono già lontane, nascoste sotto un carico di carbone diretto a Mombasa, dove verranno imbarcate su un daho arabo, verso la Somalia e l’insaziabile mercato cinese.
Oggi la notte risuonerà delle strida delle iene, dei ruggiti dei leoni, degli ululati degli sciacalli che si contendono le grandi spoglie. Domani, i resti dilaniati formicoleranno di milioni di larve, e fra una settimana solo pelle putrefatta e ossa sconnesse rimarranno di questa regina della savana, il decimo elefante raccolto quest’anno nella Laikipia Nature Conservancy.
Associano il loro acquisto coloro che entrano in eleganti negozi a Pechino, a Bangkok, a Tokyo per scegliere in una vetrina illuminata un superfluo oggetto d’avorio di cui potrebbero benissimo fare a meno, all’orrore, al terrore, che sono il vero prezzo della loro ignoranza?
Si rendono conto, di essere più colpevoli di questa morte di quanto non lo sia il bracconiere che preme il grilletto?
Il bracconiere, in questa parte del Kenya dove vivo io da quarant’anni, è un giovane cacciatore della tribù dei Pokot. È stato armato da uno dei tanti mercanti Somali che rimangono impuniti, importatori di armi illegali dalla Somalia, disintegrata, al nostro confine. È spinto dalla tentazione di un guadagno che equivale al ricavato di quindici anni di ipotetico lavoro, con nessun proporzionale deterrente legale, perché sa che se per caso cadesse nelle mani della legge, fatto raro, sarà probabilmente subito rilasciato. Il valore dell’avorio, spinto dalla domanda del mercato, oggi è tale, e le condanne talmente irrisorie, che val la pena correre il rischio. Un chilo è venduto per 750 dollari. Recentemente, il 26 agosto, 1.041 zanne illegali sono state requisite a Zanzibar, l’equivalente di oltre 520 elefanti. Il primo aprile la dogana thailandese scoprì 247 zanne provenienti dal Kenya; due settimane dopo, 122 in Vietnam, e l’indomani 707 dirette in Cina, mentre, in maggio, 84 zanne furono intercettate a Nairobi. La legislazione applicabile per crimini contro gli animali selvatici in Kenya è obsoleta. Data infatti agli anni Settanta, quando la caccia era permessa, gli elefanti abbondavano, i negozi che vendevano oggetti d’avorio ai turisti erano comunissimi, e la popolazione non aveva raggiunto il livello di ora, con rampante disoccupazione.
E, soprattutto, la presenza cinese in Africa non esisteva.
Il rapido espandersi dell’economia cinese, e la domanda per zanne di elefante – e corno di rinoceronte – in estremo oriente, dove gli oggetti di avorio intagliato rappresentano uno status symbol, uniti all’influenza economica cinese in Africa, e al proliferare di compagnie di costruzione cinesi, sono direttamente responsabili per il tragico e irreversibile declino delle popolazioni di elefanti e rinoceronti attraverso il continente. Il 90% dei contrabbandieri arrestati a Nairobi è cinese. Il Kenya perde ogni anno molte centinaia di elefanti; il bracconaggio ha raggiunto livelli senza precedenti. I primi a sparire sono stati i grandi maschi e ora è il turno delle matriarche, il nucleo, la memoria del branco.
Gli attacchi naturalmente si concentrano in aeree conosciute per l’abbondanza di questi animali, e l’asperità del terreno, come i grandi parchi di Tsavo e Voi, il Monte Kenya, le riserve di Samburu e del Mara e il luogo noto per la più grande concentrazione di elefanti e rinoceronti fuori dei parchi nazionali: la regione di Laikipia, dove vivo io, che confina lungo l’intera parte occidentale con la Grande Rift valley, l’impenetrabile regione abitata dalla tribù dei Pokot.
Non sono nuova alla lotta al bracconaggio: nel 1980, quando bande di bracconieri armati provenienti dalla Somalia discesero attraverso il Kenya, ammazzando elefanti e rinoceronti, io iniziai la prima squadra antibracconaggio privata del paese. Allora funzionava: non ora, quando il prezzo dell’avorio è salito alle stelle, la domanda per «l’oro bianco» è insaziabile e i nostri rangers, ancora armati con fucili antiquati, devono far fronte a un nemico risoluto e munito di armi moderne.
Nel luglio 1989, a Nairobi, partecipai attivamente allo storico rogo di dodici tonnellate di avorio sequestrate ai bracconieri: i compratori, provenienti soprattutto dall’estremo Oriente, si erano riversati a Nairobi per acquistarle. Organizzai con un team di esperti il complesso sistema per dare alle fiamme una sostanza che naturalmente non brucia. In seguito fui nominata Honorary Warden del Kenya Wildlife Service, e mi trovai catapultata in prima fila nella lotta per la protezione dell’ambiente.
Lo scopo di questo coraggioso gesto di coerenza e di sfida da parte del Kenya era di squalificare un mercato che era responsabile di uccisioni indiscriminate. La vendita dell’avorio fu infatti proibita subito dopo in tutto il mondo per vent’anni da Cites (la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione), per permettere ai branchi di elefanti di riprendersi.
Nel 2007 purtroppo, due anni prima della scadenza del bando, a richiesta del Sudafrica, Namibia, Botswana e Zimbabwe, la vendita alla Cina e al Giappone di avorio accumulato in questi paesi, fu autorizzata dall’agenzia Cites: un tragico errore. Immediatamente il prezzo aumentò, il mercato nero rifiorì e la pace finì ancora una volta per gli elefanti nella savana dell’Africa. Nella Laikipia Nature Conservancy sessantaquattro elefanti furono uccisi nel 2009.
Il 21 luglio, in segno di disgusto per la rinnovata ecatombe di elefanti, il Kenya bruciò ancora, pubblicamente a Manyani, vicino allo Tsavo East, 5 tonnellate di avorio illegale sequestrato in Singapore, con l’aiuto dello stesso team di ventidue anni fa.
Ma se il traffico criminale internazionale non verrà bloccato, se la nuova legge non sarà approvata immediatamente, e se drastiche misure non verranno prese con urgenza per proibire ancora una volta ogni vendita di avorio, questo gesto non avrà conseguenze e l’elefante rischierà di diventare un mammut nel corso di una generazione.
(P.S. Dopo la consegna di questo articolo, lunedì scorso, 794 zanne sono state sequestrate a Hong Kong e 114 ancora in Tanzania il 30 e 31 agosto: 454 elefanti. Sabato 166 pezzi d'avorio sono stati intercettati in Zambia, e ieri 695 zanne dirette in Cina sono state sequestrate in Malesia. La strage continua.)