«Un uomo capace di guidare in modo sicuro mentre bacia una bella ragazza non dà al bacio tutta l'attenzione che merita», chiosò Albert Einstein. Chissà com'era farsi baciare da quel fisico portentoso.
Osculazione, ecco il termine appropriato per chi vuole essere preso sul serio discorrendo di baci. La prima testimonianza storica si trova nei testi vedici indiani, messi per iscritto a partire dal 1.500 a.C. L'Atharvaveda descrive l'atto di «odorare con la bocca», mentre il Rgveda riferisce che il «giovin signore lecca ripetutamente la giovane donna» e finalmente nel Satapatha Brahmana si parla esplicitamente di due amanti che si «uniscono bocca a bocca».
Prima ancora ci sono gli indizi: si ha notizia di rossetti vecchi 5mila anni, sumeri. E ci sono ragioni per pensare che i nostri antenati si sbaciucchiassero dalla notte dei tempi. Innanzitutto perché anche i nostri cugini più prossimi lo fanno. I bonobo, le più amorose delle grandi scimmie antropomorfe, per risolvere conflitti nella loro società governata dalle femmine usano più spesso il bacio dell'aggressione (e sono stati visti darsi bacetti e morsetti anche per 12 minuti di fila). E poi perché abbiamo una reazione biologica al bacio. Durante un'osculazione appassionata i vasi sanguigni si dilatano e il cervello riceve più ossigeno del normale, il polso è più veloce e le pupille si dilatano, mentre sono rilasciati ormoni e neurotrasmettitori, fra cui dopamina, ossitocina, serotonina e adrenalina, che inebriano con sensazioni di piacere ed euforia e inducono a sviluppare attaccamento.
Pure Charles Darwin se ne interessò. In L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali si domandava se baciarsi fosse un comportamento istintivo o appreso. Osservò con gran curiosità le usanze di altre culture (umane e non), come lo strofinamento di nasi, il reciproco annusarsi, picchiettarsi, o il portarsi al viso mani o piedi altrui e li definì «comportamenti tipo bacio». Eccolo intento a descrivere il bacio malese: «Le donne si accucciarono con il viso girato all'insù e i miei inservienti si chinarono su di esse, accostando naso a naso, e cominciarono a strofinarsi. L'atto durò poco più di una nostra stretta di mano cordiale, e mentre l'eseguivano gemevano di soddisfazione». L'ipotesi di Darwin era che all'origine di baci e simil-baci, diffusi quasi ovunque, vi fosse un desiderio innato di ricevere «piacere dal contatto ravvicinato con una persona amata». Ma perché mai si sarebbe evoluto questo gesto carico di conseguenze batteriche?
Il mistero resta fitto. La divulgatrice scientifica Sheril Kirshenbaum, in La scienza del bacio (Cortina, Milano, pagg. 180, € 18), ha cercato di passare in rassegna gli studi finora esistenti – una bella idea, ma realizzata piuttosto male – e ha dovuto ammettere che si sa ancora molto poco.
Baciamo, forse, per assaggiare il compagno. Per sceglierlo non solo con gli occhi, ma anche con il tatto, il gusto, l'olfatto. Parrebbe, infatti, che si possa mettere alla prova pure il carattere genetico di un partner, "annusando" il Complesso maggiore di istocompatibilità, un gruppo di geni legato al nostro odore ma anche al tipo di invasori da cui il nostro sistema immunitario è capace di difenderci. Gli opposti si attraggono, è il motto: solo così si dà ai futuri figli una barriera immunitaria più varia. Ma gli studi sono controversi. Così come inconcludenti e contraddittorie sono le ricerche sui ferormoni, «portatori di eccitazione» che fluttuano nell'aria e repentinamente s'infilano nei nasi altrui, turbandoli. Molto efficaci per sedurre falene e termiti, nell'uomo non vi è certezza. Fra le tante, anche un'ipotesi malandrina: il bacio è una droga. Il testosterone di cui è ricca la saliva del maschio serve a far impennare la libido femminile. Galeotto fu l'ormone.
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E voi che cosa ne pensate? Perché ci baciamo?